Partiamo da questi numeri. In Italia attualmente ci sono più di 760.000 PMI (aziende da 10 a 250 addetti e con meno di 50 milioni di euro di fatturato), ma circa l’85% delle stesse ha un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro (micro imprese). Banca d’Italia, con le ultime statistiche disponibili rilasciate a fine Marzo 2019 su dati al 31 dicembre 2018, ci fotografa invece la situazione delle banche, con 505 Banche (di cui 268 BCC appartenenti ai rispettivi Gruppi) e più di 25.000 sportelli. Un primo calcolo molto grezzo ci dice che ci sono circa 28 PMI per ogni sportello bancario.
Nella tabella 1 seguente viene riportato lo stesso dato, ma suddiviso per area geografica (Nord Est, Nord Ovest, Centro, Sud e Isole) sia per le PMI in generale che per le micro-imprese.
E’ chiaro che i dati riportati non tengono conto della concentrazione delle PMI e degli sportelli sul territorio, ma una prima indicazione è che al di là del Sud e isole, dove vi è una maggior numero medio di PMI per filiale, nel resto d’Italia il dato medio nazionale è molto vicino a quello per area.
Perché questo calcolo? Chiaramente il discorso sul numero ottimale delle filiali in Italia, sul loro ruolo e la loro organizzazione operativa nel nuovo contesto è un tema molto complicato, oggetto di studi, analisi e dibattiti ampi e che affronterò in dettaglio in un altro post. Qui vorrei stressare solo un tema altrettanto caldo in un Paese come il nostro ancora fortemente bancocentrico in merito alle fonti di finanziamento delle PMI; cioè se e come le nuove logiche Fintech possono migliorare la redditività media dell’industria bancaria quando si parla di credito alle imprese e se le imprese stesse possono altrettanto beneficiarne. In sostanza, se vi è la possibilità di creare una soluzione win-win data la situazione attuale. Prima però di analizzare le conseguenze dell’introduzione della digital finance nella filiera del credito, vorrei partire con quel dato medio relativo alle PMI per filiale pari a 28. Un dato destinato probabilmente a crescere sostanzialmente vista la tendenza irreversibile alla chiusura delle filiali dato che il contesto fintech sta rivoluzionando soprattutto in questo momento il sistema dei pagamenti e le attività retail, compreso l’advisory sul risparmio ed il wealth management in generale, ma è anche un dato che a mio parere potrebbe risultare fuorviante. Infatti, come cercherò di descrivere successivamente, nel giro di poco tempo il processo del credito, anche inerente la valutazione del merito creditizio delle PMI, cambierà sostanzialmente. La digitalizzazione di tale processo è già in una fase mediamente avanzata nelle grandi banche, in fase di implementazione nelle medie, mentre i due Gruppi bancari rappresentanti il sistema cooperativo stanno in una fase progettuale più o meno avanzata su questo fronte con alcune iniziative già partite. Per quanto concerne le piccole banche indipendenti (spa e popolari) lo scenario più probabile è una prima fase in cui cercheranno tramite consulenti e provider fintech esterni di digitalizzare i processi (in CD Finance Consulting abbiamo già assistito alcuni Istittuti in merito avendo creato una procedura di assessment sul processo del credito che permette di identificare dove poter operare per ottimizzare la digitalizzazione del processo), fino in alcuni casi ad arrivare, a seguito di riflessioni ‘interne’ e, diciamo, spinte ‘esterne’ (leggasi vigilanza/normativa), a consolidarsi per generare le necessarie ed ulteriori economie di scala e di scopo. Nei prossimi anni avremo quindi molto probabilmente un sistema bancario ancora non omogeneo per quanto concerne la digitalizzazione del processo del credito alle PMI, ma una considerazione a mio parere è doverosa tenuto conto della particolarità in merito alla organizzazione e dell’operatività dei soggetti coinvolti. Il tema della totale digitalizzazione dei processi in ambito finanziario in senso lato ha spinto molti a ritenere che nel giro di pochi anni il front end possa essere del tutto automatizzato con una disintermediazione dell’apporto consulenziale umano quasi totale. Onestamente, nessuno può prevedere in realtà come saranno in le cose e comunque tale livello di disintermediazione secondo me sarò molto diverso a seconda del servizio di cui si parla. Sono abbastanza d’accordo su questo punto in merito agli strumenti di pagamento ed in parte sulla consulenza finanziaria ed assicurativa (con alcuni caveat di cui parlerò in altro articolo). Sono un po’ meno convinto sulla disintermediazione quasi totale per quanto concerne il credito alle PMI (mentre il discorso è diverso chiaramente per il consumer credit e quello retail in generale). E questo per due ordini di motivi, uno riconducibile alla struttura del nostro tessuto imprenditoriale e l’altro al ruolo che le banche vogliono e devono avere.
Partendo dal primo punto è indubbio che l’utilizzo di alcuni servizi fintech non può che migliorare l’efficienza e l’efficacia del processo del credito in banca. Penso a tutta la filiera del regtech che permette di fare una preistruttoria più veloce e con meno errori, ma anche di minimizzare i rischi di compliant; così come un utilizzo più praottivo della big data analysis può permettere di costruire dei sistemi di rating più efficaci, di fare analisi di bilancio più puntuali. E’ utile anche il social rating, i tool di valutazione prospettica, di benchmarking analysis, di censimento dei gruppi etc etc. Nell’assesment che abbiamo creato in CD Finance Consulting sul digital divide del processo del credito per le banche abbiamo individuato 7 aree di attenzione con più di 40 interventi possibili per digitalizzare il processo. Ma ci sono degli elementi che non possono essere digitalizzati in Italia e sono principalmente legati all’entropia e alla scarsità di informazioni dettagliate in merito ai momenti contabili ed alla strategia aziendale. Che senso ha, ad esempio, utilizzare un tool di analisi di bilancio pienamente digitalizzato di una micro impresa che deposita un bilancio, direi ridicolo, in funzione della direttiva bilanci? Ma ciò vale anche per le medie imprese. Mi si dirà che comunque sono stati introdotti o si stanno introducendo moduli di valutazione quali/quantitativa che permettono di supplire a queste carenze informative. E chi le alimenta? L’imprenditore? il suo CFO (se c’è)? il suo Dottore commercialista? E chi fa da filtro e ‘revisore’ in banca? Oggi lo fanno gli uffici fidi, che però o interagiscono con il ciente (poco) o fanno riferimento a chi fa l’istruttoria per chiedere ulteriori informazioni. Lo stesso vale per la costruzione e l’alimentazione di modelli di valutazione prospettica. Come si pensa di poter eliminare questo filtro umano? A mio parere sarà praticamente impossibile, anzi bisogna investire sulla creazione di figure consulenziali che sappiano acquisire in maniera ottimale queste informazioni, consulenziare il cliente su questi punti. Qualcuno lo sta già facendo e si sta andando verso il cruscotto di servizi alle imprese che ricomprende anche il controllo di gestione e la programmazione finanziaria. Ma il problema è che ci si sta muovendo in ordine sparso e una gran fetta del sistema bancario medio/piccolo è ancora in mezzo al guado. In certi settori dell’industria bancaria ancora non si è superato ad esempio il concetto che essere banca locale non significa più essere presente fisicamente con una filiale sul territorio di riferimento, ma essere presente in termini di relazioni, servizi e professionalità votata alla consulenza. E questo ci porta al secondo punto del perché secondo me una disintermediazione del fattore umano consulenziale nel credito alle PMI in Italia è pura utopia, e riguarda il ruolo che vogliono e devono avere le banche. Il passaggio chiave è quello di convertirsi gradualmente da intermediari puramente creditizi a intermediari di relazione. Siamo sicuri che il ruolo delle banche sia ancora quello di intermediare la raccolta per rischio e per scadenza come una sorta di ‘benzinaio’ del territorio che decide a suo insindacabile giudizio a chi fare il pieno di benzina e a chi no? A cosa ci ha portato questo modo di ragionare? Ad una moltitudine di banche, a volte a relazione non proprio chiare con il territorio, a ‘guerre’ a colpi di spread al ribasso, cioè ad adverse selection. Ora ci vuole coraggio ed il carburante deve essere il Fintech, ma non solo per premere un bottone, fare due rating o altro. Tutto ciò è corretto nell’ottica di recuperare migliori livelli di efficienza ed efficacia, ma in realtà è il minimo sindacale. Il difficile sta nell’utilizzare tutti questi strumenti in ottica consulenziale ad elevato valore aggiunto. Si sta iniziando ad investire su questo punto, ma non ancora a sufficienza. Non ragioniamo più in termini di PMI per filiale, ma ragioniamo in termini di PMI per consulente. Se ogni fiiale avesse un vero consulente bancario del credito alle PMI che sappia ottimizzare l’utilizzo e l’alimentazione di tutti gli strumenti fintech che stanno emergendo, avrebbe in media come potenziali clienti 28 PMI; due consulenti circa 15. Il coraggio sta nel formare queste figure, ma sta anche nel non farsi la guerra tra banche sugli stessi clienti. Ci vuole un sistema bancario che abbia il coraggio di specializzarsi per settore e per territori con l’approccio appena descritto così da catturare il cliente PMI, dare valore aggiunto e non essere sempre price taker sul credito. In CD Finance crediamo moltissimo nella consulenza ad elevato valore aggiunto in ambito Fintech ed abbiamo anche creato una Finconsultech® Academy che si occupa di sviluppare percorsi in house e master per sviluppare le competenze consulenziali. Ad esempio è in partenza l’Executive Master in Banking and Consulting nell’era del Fintech che mira a creare quelle professionalità consulenziali in banca nell’era della digitalizzazione dei processi (non solo creditizi). La sfida comunque è enorme, ma tutto ciò potrebbe essere l’occasione per rivedere finalmente un modello creditizio alle PMI che in realtà è cambiato poco nella sostanza negli ultimi decenni, prima che la prossima crisi economica più o meno pesante faccia emergere tutte le attuali lacune che fino ad ora sono state semplicemente mascherate dall’attività di politica monetaria non convenzionale della BCE.